Il termine “Impressionismo” ha accezione negativa e viene coniato dal critico d’arte francese Louis Leroy nel 1873 quando accompagna un insegnante dell’Accademia a visitare una mostra di giovani rivoluzionari presso lo studio fotografico di Nadar. Leroy, criticando, definisce i quadri di quella mostra impressione, confusione, carte da parati non terminate; lo stile per il critico è rozzo, incompiuto.

UN GRUPPO DISOMOGENEO

Il gruppo degli impressionisti non è omogeneo e coerente, sebbene la genesi sia simile a quella del gruppo dei macchiaioli: questi sono solidali l’uno con l’altro e realizzano un’arte corrente pur nella suddivisione.
Gli impressionisti sono un gruppo di giovani parigini attratti dalle possibilità dell’arte; si ritrovano al Café Guerbois dove parlano di pittura e si confrontano sulla necessità di un’arte che vada oltre la finitezza: la rivoluzione tecnico-stilistica di Constable aveva fatto scuola, portando a considerare il bozzetto un’opera d’arte finita.
Il gruppo è composto da Pissarro, Manet (sebbene egli sia più precisamente un pre-impressionista) e i più giovani Monet, Renoir e Degas. Queste personalità non formano un gruppo coeso poiché, sebbene condividano il fine di rivoluzionare l’arte, le strategie e i metodi sono individuali.

IMPRESSIONISMO PURO E IMPURO

Gli artisti appartenenti alla corrente dell’Impressionismo si possono suddividere in puri e impuri.
Gli impressionisti impuri (Manet, sebbene rappresenti un caso specifico, e Degas) sono maggiormente legati all’Accademia in quanto studiano l’arte del passato, in particolare il Quattrocento italiano, lavorano in atelier, studiano la composizione e utilizzano il bianco e il nero, pur rifiutando il chiaroscuro accademico.
Gli impressionisti puri (Monet e Renoir) attuano scelte più radicali: lavorano sulla tela bianca non preparata, non studiano composizione e disegno, lavorano di getto all’aria aperta (en plein air) e utilizzano solo colori puri rifiutando il nero.
Un’altra distinzione è data dal fatto che Monet e Renoir abbandonano l’Accademia ed espongono grazie a canali secondari come piccole gallerie e mostre; Manet si rifiuterà di esporre tramite queste modalità, egli vuole fare arte da museo.

L’EREDITÀ DEL REALISMO E DEL POSITIVISMO

L’Impressionismo rappresenta il colpo di coda del Realismo, sebbene rispetto a quest’ultimo non presenti volontà polemica o morale; di esso eredita l’importanza del dato percettivo: si tratta di una pittura di superficie, senza significati reconditi, che immortala la Belle Époque analizzando la visione e l’impressione che la realtà ha sulla retina dell’artista. In quest’ottica anche il Positivismo rappresenta un elemento decisivo.

L’IMPORTANZA DELLA FOTOGRAFIA E LE SUE CONSEGUENZE

Per la nascita dell’Impressionismo risultano fondamentali gli studi sulla percezione che si sviluppano durante la metà dell’Ottocento che conducono ad analisi sempre più scientifiche; fondamentale è anche la nascita della fotografia con Louis Daguerre, i sali d’argento e gli esperimenti di Fox Talbot.
La fotografia ha delle importanti ricadute sulla pittura (ciò è evidente ad esempio nelle composizioni dei quadri di Delacroix); molti pittori si cimentano nella fotografia, inoltre è un espediente per risparmiare sui modelli.
Le fotografie diventano un mezzo molto diffuso per ritrarre la realtà da copiare all’interno dei dipinti e un mezzo di studio per la composizione: nasce il taglio fotografico che presenta una ricaduta più concettuale: le fotografie di quest’epoca confermano che la natura è priva di contorni precisi, come diceva lo stesso Delacroix. Le idee di pulizia della linea e del contrasto proprie dell’Accademia decade in virtù del confronto diretto con la fotografia e quindi con la realtà.

Esiste una corrente di pensiero secondo cui lo sviluppo dell’Impressionismo nasce spingendosi oltre la fotografia; un’altra opinione è che fotografia e pittura presentino lo stesso punto di partenza: la luce.

RICOMPOSIZIONE RETINICA E MESCOLANZA OTTICA

Il confronto diretto con la realtà, anche mediante la fotografia, testimonia ulteriormente che la percezione delle cose è tremula. Con l’Impressionismo si sviluppano quindi degli elementi percettivi fondamentali che gli impressionisti esasperano: la ricomposizione retinica e la mescolanza ottica.
La ricomposizione retinica consiste nella capacità del nostro occhio di riconoscere le forme soltanto ad una certa distanza; un esempio è dato dalla serie di Monet sulla Cattedrale di Rouen: se ci si avvicina si riesce a percepire solo una poltiglia di colori in rilievo, mentre allontanandosi la facciata della cattedrale si ricompone.
La mescolanza ottica è data dal fatto che la retina dell’occhio ad una certa distanza percepisce due tonalità (ad esempio blu e giallo) come un unico colore (in questo caso verde): gli impressionisti si rendono conto empiricamente che il verde della tavolozza è poco brillante, tuttavia con l’espediente della mescolanza ottica si ottiene un colore particolarmente vibrante e brillante mantenendo la stessa impressione percettiva della realtà.

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