Nel panorama filosofico europeo dell’800, Søren Aabye Kierkegaard (1813 – 1855) rappresenta una figura isolata, quasi eccentrica rispetti alle grandi tendenze a lui contemporanee.

  1. La sua immagine come uno dei principali oppositori alla tradizione hegeliana è stata costruita dopo la sua riscoperta nel ‘900, anche se in vita Kierkegaard NON è mai stato veramente in contatto con i filosofi a lui contemporanei.
  2. Si potrebbe dubitare della sua portata strettamente filosofica, dato che si è sempre sentito più vicino alla teologia.
  3. Kierkegaard stesso ha cercato di dissimulare il suo ruolo di autore, facendo ricorso ad un complesso gioco di artifici letterari come gli pseudonimi.

CENNI BIOGRAFICI

Lo stesso Kierkegaard ci racconta che ci sono tre rapporti fondamentali che hanno profondamente segnato la sua vita e il suo pensiero. Ognuno di questi rapporti rappresenta un fallimento e da ognuno Kierkegaard eredita una questione fondamentale.

  1. Il rapporto con il padre rappresenta l’incapacità di mantenersi all’altezza delle sue aspettative. La questione che Kierkegaard eredità è: Può il successo terreno essere davvero compatibile con un cristianesimo coerente?
  2. Il rapporto con Regine Olsen rappresenta l’incapacità di dar vita ad una famiglia normale sposando la ragazza che amava. La questione che Kierkegaard eredità è: Cosa deve avere la priorità nella vita di un vero cristiano, gli affetti umani o Dio?
  3. Il rapporto con il vescovo Mynster rappresenta l’incapacità di incidere positivamente sulla Chiesa del suo tempo. La questione che Kierkegaard eredità è: Come fare a riscoprire una concezione autentica e radicale del cristianesimo?

GLI PSEUDONIMI DI KIERKEGAARD

I più diffusi e conosciuti scritti di Kierkegaard sono pubblicati sotto pseudonimi (non tutti lo sono: alcuni – di natura religiosa – vengono pubblicati a suo nome). Questi sono costruiti secondo un sofisticato gioco di specchi e rimandi in cui gli pseudonimi sono i personaggi del “teatro dell’esistenza” di Kierkegaard.

Gli scritti pseudonimi potrebbero essere presi come un “inganno”, ma questo inganno ha una funzione maieutica (come l’ironia socratica). Cosa significa? Gli pseudonimi servono a fingere di assumere la posizione dei propri interlocutori, per poterne poi dimostrare l’inconsistenza. Questo uso ironico degli pseudonimi serve a negare l’immediatezza apparente del mondo per aprire un varco verso la realtà religiosa.

Kierkegaard cerca sempre di rafforzare l’autonomia, la soggettività, la singolarità di ciascuno di questi personaggi, di farne altrettanti “io”. L’uso degli pseudonimi NON serve per mascherare l’io MA (paradossalmente) per farlo emergere: sotto la veste apparente della comunicazione indiretta si propone una comunicazione a più voci diretta o almeno soggettiva.

IL SINGOLO E IL SISTEMA

“La soggettività è la verità”

Il tratto essenziale del pensiero di Kierkegaard si può riassumere nella formula “la soggettività è la verità”.
Quel che interessa a Kierkegaard non è la ricerca di verità oggettive, generali e astratte, ma la ricerca “soggettiva” di una verità che si propria per ognuno. Questo non significa legittimare una posizione di tipo relativistico, ma significa che ogni conoscenza è veramente essenziale solo se riguarda direttamente l’esistenza, se è fatta propria e interiorizzata da ciascuno in quanto è esistente.

  • Se si imposta la questione della verità in termini oggettivi, si considera la verità come l’oggetto a cui il soggetto si rapporta
  • Se si imposta la questione della verità in termini soggettivi, ciò che conta è il rapporto stesso, il “come” il soggetto si rapporta alla verità

Per capire meglio la differenza, consideriamo il caso della conoscenza di Dio:

  • Posta in termini oggettivi, significa riflettere sul fatto che c’è un vero Dio, conta ciò che si dice (ex: un cristiano che prega il vero Dio in modo non-vero, falso, inautentic, non è nella verità)
  • Posta in termini soggettivi, significa interrogarsi sul fatto che un individuo si pone in un rapporto con Dio, conta il come riguarda l’esistenza di ogni individuo (EX: un pagano che prega un falso idolo in assoluta passione e sincerità è più nella verità rispetto al cristiano di sopra)

Questo esempio ci serve anche per ricordare che per Kierkegaard la verità soggettiva (l’esistenza singolare) costituisce un valore solo se esprime un rapporto altrettanto singolare, unico e insostituibile con Dio. Quando Kierkegaard cerca una verità che sia tale per lui, lo fa sempre e solo in riferimento al cristianesimo.

IL CONFRONTO CON HEGEL

Far prevalere il come sul cosa della verità significa difendere l’irriducibilità di ogni istanza singolare e soggettiva rispetto a ogni pretesa di assorbimento in un sistema: questo è il senso della netta presa di distanza rispetto ad Hegel (che si stava imponendo anche in Danimarca).

L’opposizione di Kierkegaard a Hegel è principalmente un’opposizione di natura filosofica e riguarda il modo in cui si deve concepire l’essenza delle cose e la loro esistenza. Kierkegaard critica la pretesa di raggiungere il reale a partire dal pensiero astratto e di conseguenza la pretesa dell’identità tra pensiero-essere, soggetto-oggetto, interiorità-esteriorità. 

La soggettività sfugge a qualsiasi forma di mediazione dialettica: non trapassa nel suo opposto e non si risolve in una forma superiore di conciliazione/sintesi. Riprendendo Kant e Aristotele, Kierkegaard afferma che l’esistenza non aggiunge nulla all’essenza ma rimane separata e non-risolvibile nell’essenza.

In realtà, se andiamo a scavare vediamo che il confronto filosofico con Hegel è dettato da preoccupazioni di tipo teologico-religioso. La difesa dell’esistenza singolare contro il sistema è condotta in nome della categoria religiosa di “singolo” come fondamento del cristianesimo.

Infatti, se in generale per ogni genere animale vale il principio che il singolo è inferiore al genere, solo per il genere umano vale il principio che il singolo è superiore al genere perché “ogni singolo è inteso nel suo rapporto a Dio“. Dunque, il vero errore di Hegel è stato quello di aver assorbito il cristianesimo (e Dio) come una semplice tappa nel superiore processo di sviluppo storico della spirito.

GLI STADI DELL’ESISTENZA

Perciò, i presupposti di Kierkegaard sono la difesa del singolo, della verità soggettiva come rapporto e dell’esistenza contro ogni pretesa di astrazione sistematica. Questi presupposti possono essere colti anche in una più particolare chiave di accesso, quella dei tre stadi dell’esistenza: estetico, etico, religioso.

La dialettica degli stadi è diversa da quella hegeliana. Il passaggio da uno stadio all’altro non è compiuto dallo spirito in virtù di leggi logiche astratte, ma è compiuto dal singolo in base ai suoi atti di volontà e alle sue scelte. Tra i diversi stadi non c’è la possibilità di una mediazione o una sintesi, ma bisogna scegliere cosa si vuole essere (N.B. La prima opera in cui si parla degli stadi si intitola con una disgiunzione: “Enten-Eller” ovvero Aut-Aut, O-O).

Lo stadio estetico

Il primo stadio estetico è dominato dal desiderio erotico e dall’interesse per la seduzione e costituisce quell’opzione in cui il singolo cerca nell’istante la fruizione dell’eterno e nell’attimo finito l’esperienza della totalità. Lo stadio estetico è rappresentato da due figure:

  1. Il Don Giovanni di Mozart. Don Giovanni (soprattutto nella versione “musicale” di Mozart) è il simbolo dell’avventuriero amoroso. In lui il godimento arde e si consuma nell’attimo, per poi risorgere come puro desiderio nell’attimo successivo e così via per tutti gli attimi del tempo. Don Giovanni vive il desiderio assoluto di ciò che è singolo (ognuna delle fanciulle che incontra), ma non riesce ad essere egli stesso un soggetto singolo poiché il suo desiderio non è quello proprio di un singolo individuo, ma è il desiderio come principio. Così, la fruizione dell’oggetto desiderato non lo soddisfa mai veramente. La vita di Don Giovanni si compone di vari istanti in cui egli cerca l’universale (il godimento totale, ma solo aggiungendo indefinitamente istante ad istante. Così, l’infinito a cui Don Giovanni tende è solo una ripetizione continua di istanti finiti, ma in questo modo non viene mai raggiunto e al suo posto subentrano la noia e l’angoscia.
  2. Johannes il seduttore. Johannes è il simbolo del seduttore spirituale. Egli disprezza l’amore sensuale e agisce per il puro gusto della conquista spirituale. Per lui l’amore deve restare al puro livello di possibilità perché, se si realizzasse effettivamente, non sarebbe più oggetto di seduzione. Perciò, Johannes desidera l’intero e cerca di raggiungerlo non con la mera somma di istanti, ma con l’intensità. Però, anche Johannes è destinato a non raggiungere mai l’infinito, proprio perché riduce la realtà a mera possibilità e alla fine può solo nutrirsi di essa.

Dunque, sia in Don Giovanni sia in Johannes, ciò che è proprio dello stadio estetico è il tentativo di sottrarsi al fluire del tempo, ma senza riuscire a pervenire alla vera eternità, di sfuggire al finito senza raggiungere l’autentica infinità. In ultima istanza, il tratto che definisce la vita estetica è l’angoscia: la ricerca impossibile di un infinito che si può attingere solo negativamente, come rifiuto della finitezza.

Lo stadio etico

Lo stadio etico è rappresentato dalle lettere che il Giudice Wilhelm invia a Johannes il seduttore, con cui differisce per il fatto di essere sposato. L’amore è ciò che al tempo stesso unisce e divide i primi due stadi.

Il matrimonio marca il passaggio dalla possibilità (propria dell’esteta) alla realtà, poiché segna il passaggio dall’amore come istanza immediata all’amore come istanza mediata. Entrambi vivono nel presente, ma l’esteta viene in un presente atomizzato, fatto di istanti ripetuti, mentre l’etico vive nel presente stabile del tessuto sociale, delle relazioni con gli altri. Il marito, amando una sola donna, rappresenta la durata di un rapporto stabile, una ripetizione non subita ma consapevole e voluta.

Lo stadio etico esige quindi coraggio poiché comporta una scelta. L’esteta, rimandando continuamente il momento della scelta, di fatto non sceglie mai, mentre l’etico decide innanzitutto di uscisse dall’indecisione e dall’indifferenza: la scelta coincide in primo luogo con se stessa, con il fatto stesso di scegliere. E questa scelta è in definitiva una scelta per la libertà, e non solo perché presuppone la libertà (senza libertà non ci sarebbe scelta), ma soprattutto perché fonda la libertà.

Quindi, l’etico riconosce il fallimento dell’esteta tramite l’umiliazione e il pentimento. Così, nello stadio etico si arriva alla soglie dello stadio religioso. Qui si ferma però, perché questa soglia non si può varcare né facilmente né tranquillamente.

Lo stadio religioso

Lo stadio religioso passa anzitutto da una figura fallimentare. Si tratta di Quidam (in latino “un tale”), che (come Kierkegaard) ha lasciato la propria fidanzata: in questo modo rifiuta la mera ripetizione estetica (la momentaneità del piacere) ed etica (la continuità matrimoniale). Però, la sua scelta non è ancora autenticamente religiosa, poiché è ancora solo ideale, e resta intorno al solo pensiero. Infatti, Quidam rinuncia alla sua fidanzata, ma nella speranza di riprenderla nell’eternità.

Quidam non è ancora giunto alla vera ripresa cristiana. Questa è la scelta per l’eternità fatta nel mondo: è una scelta reale che vuole vivere la contraddizione tra finito e infinito in modo autentico. Chi conosce l’infinità autentica (quella del rapporto con Dio) si decide per essa, ma non fugge dal mondo, anzi, decide di vivere in esso. Questa scelta non è ancora quella di Quidam, perché egli è ancora trattenuto dal pensiero e dalla riflessione: a Quidam manca il coraggio di compiere il “salto” della fede e di abbandonarsi completamente a Dio. Questo salto e abbandono presupposti non sono una conseguenza automatica, ma richiedono una scelta ancora più radicale di quella fatta nello stadio etico.

L’episodio biblico di Abramo

Questo episodio offre un esempio di questa scelta radicale. Dio comanda ad Abramo di uccidere suo figlio Isacco (a lungo desiderato e avuto in tarda età), Abramo obbedisce immediatamente ma, nel momento in cui sta per compiere il sacrificio, un angelo ferma la sua mano e indica un ariete da sacrificare al posto di Isacco.

Questo episodio è altamente significativo perché in esso sono infrante tutte le regole ideali dell’etica. Questa è proprio l’eccezionalità, la singolarità che contraddistingue il religioso (il cristianesimo). La fede è uno stato eccezionale che non riguarda l’umanità in generale (come l’etica), ma mette alla prova e si rapporta sempre e solo al singolo. Il contrasto tra l’etico e il religioso è quindi il contrasto tra il dovere in generale e il dovere assoluto verso Dio. Per corrispondere a tale dovere il singolo non può rifugiarsi nel generale, ma deve solo assentire: “Abramo credette e non dubitò, egli credette l’assurdo“.

Cosa determina questo salto dall’etico al religioso? La nozione di peccato è l’unica che fa uscire dal generale dello stato etico e arriva all’assoluto dello stato religioso. Il peccato è uno stato di fatto, ed è un fatto che si collega alla libertà umana. L’etica non utilizza la nozione di peccato, ma di “dovere”, e proprio per questo rimane una scienza “ideale” che nega la libertà umana. L’etica non eleva la realtà all’idealità, ma porta l’idealità nella realtà, essa prescrive ed esige che l’uomo raggiunga ciò che è stato prescritto (per questo diventa dolorosa perché impossibile).

IL CRISTIANESIMO

Angoscia e disperazione 

Di fronte alla fattualità del peccato l’etica e i suoi precetti ideali non possono nulla. Per questo il peccato stesso costituisce una “disperata liberazione dal dover realizzare l’etica”: solo nella prospettiva del peccato la libertà umana ha senso. ma questa libertà può tradursi unicamente in angoscia: una sorta di sospensione interiore, come se si fosse sull’orlo di un baratro e non ci fosse nessuna norma o convenzione a cui aggrapparsi per scegliere. Quindi, il singolo non è libero né per un istinto arbitrario né per un dovere da compiere o per una legge da osservare, ma di fatto il singolo è libero solo perché si trova interamente esposto di fronte a Dio.

Questo essere “davanti a Dio” definisce il vero senso cristiano del peccato. Il peccato è una condizione essenzialmente singolare, così come singolare è l’esposizione di ciascuna davanti a Dio. La dinamica per cui si pecca si compone sempre di due parti. Ciascuno pecca prima per debolezza e poi per disperazione, perché non sa se il peccato commesso per debolezza potrà mai essergli perdonato. Però, proprio la disperazione costituisce la vera “malattia mortale” per l’uomo perché, non confidando che il suo peccato possa essere redento, si orienta volontariamente verso la propria perdizione.

Lo scandalo del cristianesimo

Per Kierkegaard è proprio nello stato di peccato e disperazione che si trova la possibilità di redenzione. Se il peccato è essere davanti a Dio, questa sua esposizione è anche quella che può salvare, purché si accettino il salto della fede e il paradosso del cristianesimo. Così, il fatto del peccato e la possibilità del cristianesimo hanno il medesimo luogo e la medesima origine nel rapporti singolare del singolo uomo con l’altrettanto singolo Dio-uomo. Questo è il paradosso, lo scandalo su cui si fonda il cristianesimo.

Bisogna difendere lo scandalo del cristianesimo rispetto a ogni forma di comprensione razionale/filosofica.

Come principio bisogna dire: la fede non si può comprendere, il massimo a cui si arriva è poter comprendere che non si può comprendere“.

Ma questo non basta: bisogna anche mostrare ai cristiani contemporanei che la loro religione (il loro cristianesimo riconciliato con il mondo) non ha nulla a che vedere con il cristianesimo autentico. Quindi, il compito che Kierkegaard ha preso su di sé è quello di arrestare un falso cristianesimo.

Kierkegaard ha vissuto le conseguenze di questo compito sulla propria pelle, perdendo l’affetto delle persone più care e rompendo con la Chiesa che voleva proteggere e rivitalizzare. Kierkegaard ha sempre avuto ben presente di giocarsi tutto intorno alla proprio concezione di essere singolo.

Con questa categoria, il singolo, quando qui tutto era sistema su sistema, io presi polemicamente di mira il sistema, ed ora di sistema non si parla più. A questa categoria è legata assolutamente la mia possibile importanza storica“.

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